venerdì 1 maggio 2009

Vita di San Nettario di Egina, metropolita di Pentapoli e operatore di miracoli (VI)

Gli ultimi giorni


Il 20 settembre 1920, una monaca di nome Eufemia portò un uomo anziano, che aveva sul capo una piccola rassa (copricapo monastico) e che era in preda a fortissimi dolori, all’ospedale Aretaieion di Atene, un ospedale pubblico per i poveri. L’infermiere chiese alcune informazioni per registrarlo: «È un monaco?» «No, un vescovo», rispose la monaca. L’infermiere rise sarcastico: «Lasciamo da parte gli scherzi, madre. Mi dica il suo nome, perché io possa registrarlo». «È veramente un vescovo, figliolo. Egli è il reverendissimo Metropolita di Pentapoli». L’infermiere farfugliò fra sé: «È la prima volta che vedo un vescovo senza Panagia (l’immagine della Madre di Dio che si porta al collo), senza croce dorata e soprattutto senza soldi!». La monaca disse nuovamente: «Davvero è un vescovo. Il Metropolita di Pentapoli. La Metropoli dipende dal Patriarcato di Alessandria. Egli è il reverendissimo Nettario Kephalas. Tempo fa egli lasciò l’Egitto e venne da voi a dirigere la scuola Rizarios; è cosa nota. Da alcuni anni e fino ad oggi, tuttavia, egli ha vissuto come un monaco nel convento della Santa Trinità ad Egina. Lì si ammalò gravemente e, nonostante le sue proteste, lo abbiamo portato qui». A questo punto mostrò all’infermiere i documenti del santo, per provare chi fosse.

L’infermiere, stupito da ciò che aveva visto e sentito, alzò le spalle e disse alla monaca di mettere il santo in una stanza di terza classe, dove si trovavano letti per gli indigenti. I medici gli diagnosticarono una grave cistite, una malattia della vescica. Per due mesi il gerarca Nettario visse con costanti, terribili dolori e alle 22.30 della sera dell’8 novembre 1920, in pace e in preghiera, rese lo spirito a Dio, all’età di 74 anni.

Nei giorni finali della sua vita, il santo era nella corsia degli incurabili, in mezzo a molte persone povere e malate, che venivano portate lì a morire. Nel letto vicino al suo c’era un uomo, paralizzato da molti anni. Appena il santo ebbe reso lo spirito, un’infermiera e la monaca che lo aveva accompagnato preparono il suo sacro tabernacolo per il trasferimento ad Egina per la sepoltura. Per questo vestirono il santo con abiti puliti e, nel farlo, posarono il maglione del santo sul letto del paralitico, per non averlo di mezzo. Immediatamente il paralitico acquisì forza e si alzò dal letto guarito e glorificando Dio.

Il giorno del suo trapasso, l’intero ospedale si riempì di un forte profumo, al punto che tutti i pazienti, le infermiere e i dottori uscirono nei corridoi domandandosi da dove provenisse. Per alcuni giorni non furono in grado di usare la stanza dove avevano messo le reliquie, a causa del forte profumo, nonostante avessero tenuto per tutto il giorno le finestre aperte. Questa stanza adesso è una cappella dedicata al santo.

Portarono le sue reliquie presso la chiesa della Santa Trinità al Pireo, nel mentre che veniva approntata una piccola bara di legno per la sepoltura. Poi lo trasportarono ad Egina, dove gli diedero una semplice sepoltura nel convento della Santa Trinità.


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