domenica 13 dicembre 2009

Vita del santo ieromartire Ilarion (Troitsky), arcivescovo di Verey (IV)

A metà dell’estate del 1925 l’arcivescovo Ilarion venne trasferito nella prigione di Yaroslav, dove la situazione era molto diversa da quella delle Solovki. Egli infatti godeva di speciali privilegi, per esempio ebbe il permesso di ricevere libri spirituali. Sfruttando tali privilegi, l’arcivescovo lesse un gran numero di letteratura patristica e scrisse delle annotazioni, contenute in molti e densi quaderni di istruzioni patristiche, che fu in grado di inviare in custodia agli amici, dopo aver passato la censura della prigione. Il gerarca avrebbe infatti segretamente fatto visita al guardiano, che era un uomo gentile; come risultato diede vita ad una collezione sotterranea di manoscritti religiosi e letteratura sovietica, così come a copie di vari documenti amministrativi della Chiesa e di corrispondenza con altri vescovi.

Durante quello stesso periodo l’arcivescovo Ilarion sopportò coraggiosamente anche un gran numero di problemi: quand’era nella prigione di Yaroslav, nel grembo della Chiesa stava avvenendo lo scisma gregoriano (nuovo scisma, questa volta di stampo tradizionalista, fomentato dai Sovietici dopo il fallimento dei Renovazionisti, che prendeva il nome dal fondatore, il vescovo Gregorio Yakovetsky). Un agente della GPU andò da lui, che era molto popolare fra la gente, e cercò di persuaderlo ad unirsi al nuovo scisma. «Mosca vi ama, Mosca vi aspetta», gli disse. Ma l’arcivescovo Ilarion rimase incrollabile. Egli sapeva cosa la GPU cercava di fare e coraggiosamente rifiutò la dolce libertà offertagli in cambio del tradimento. L’agente fu stupito del suo coraggio e disse «È bello parlare ad un uomo così intelligente». Poi aggiunse «Quant’è la vostra pena alle Solovki? Tre anni? Per Ilarion, solo tre anni?» Non fu sorprendente che dopo questo gli vennero aggiunti tre ulteriori anni di pena. Venne anche aggiunta la motivazione, «per aver divulgato segreti governativi»; cioè per aver parlato con l’agente nella prigione di Yaroslav.

Nella primavera del 1926 l’arcivescovo venne riportato alle Solovki. Il suo sentiero verso la croce continuava. I Gregoriani non lo lasciavano in pace. Non perdevano infatti la speranza di poter conquistare un così eminente gerarca e rafforzare le proprie posizioni.

All’inizio del giugno 1927, non appena il Mar Bianco divenne transitabile, l’arcivescovo venne condotto a Mosca per discutere con l’arcivescovo Gregorio. Alla presenza di vari laici, quest’ultimo domandò insistentemente all’arcivescovo Ilarion di «prendere coraggio» e guidare il gregoriano «Concilio Supremo della Chiesa», che stava rapidamente perdendo di importanza. L’arcivescovo Ilarion rifiutò categoricamente, spiegando che le azioni di questo concilio erano ingiuste ed una perdita di tempo, pianificate da persone che non conoscevano la vita, né i canoni della Chiesa e che perciò il concilio era destinato a fallire. In più consigliò l’arcivescovo Gregorio, un fratello, di abbandonare i suoi piani, che erano non necessari e addirittura dannosi per la Chiesa stessa.

Simili incontri vennero ripetuti varie volte. I Gregoriani pregarono vladika Ilarion, gli promisero una totale libertà di azione ed un kobluk bianco (copricapo monastico che designa un metropolita), ma egli mantenne fermamente le sue convinzioni. Ci furono anche voci che avesse detto a qualcuno, durante uno di questi incontri: «Sebbene io sia un arcivescovo, sono un uomo dal temperamento focoso e vi esorto ad andarvene. Dopo tutto, potrei perdere il controllo».

«Marcirò in prigione, piuttosto che cambiare la mia posizione», disse una volta al vescovo Gervasio. Egli mantenne questa posizione verso i Gregoriani fino alla fine della sua vita.

Durante i tempi tormentati in cui, dopo lo scisma renovazionista, il disaccordo era penetrato fra i vescovi esiliati alle Solovki, l’arcivescovo Ilarion fu un vero pacificatore in mezzo a loro. Egli fu in grado di unificarli sulla base dei principi ortodossi. Fu uno dei vescovi che lavorò alla dichiarazione della Chiesa del 1926, che determinò la posizione della stessa nelle nuove condizioni storiche. Questa dichiarazione giocò un enorme ruolo nella lotta contro le divisioni emergenti.

Nel novembre 1927, alcuni vescovi delle Solovki incominciarono a rinunciare allo scisma Giosefita (così chiamato dal metropolita Giuseppe, che decise di separarsi dal metropolita Sergio, quando questi fece dichiarazione di lealtà al governo sovietico e che divenne uno dei leader della prima chiesa catacombale russa). L’arcivescovo Ilarion fu abile a radunare fino a quindici vescovi nella cella dell’archimandrita Teofanie, dove tutti unanimemente decisero di preservare la fedeltà alla Chiesa ortodossa guidata dal metropolita Sergio. «Nessuno scisma!» proclamò l’arcivescovo Ilarion, «Non importa cosa ci diranno, lo considereremo una provocazione!»

Il 28 giugno 1928, vladika scrisse ad alcuni amici intimi che egli era estremamente poco comprensivo verso coloro che si erano separati e considerava il loro agire infondato, folle ed estremamente dannoso. Tale separazione era «un crimine ecclesiastico», molto serio nelle condizioni allora correnti. «Non vedo assolutamente nulla nelle azioni del metropolita Sergio e del suo Sinodo che dovrebbe eccedere la misura di condiscendenza e pazienza».

Egli si impegnò duramente per convincere il vescovo Vittorio (Ostrovidov) di Glazov (nuovo ieroconfessore, canonizzato dal Patriarcato di Mosca nel 2000 e commemorato il 19 aprile e il 18 giugno), il quale era molto vicino alle posizioni dei Giosefiti. Alla fine vi riuscì e non solo questi si accorse di essere nell’errore, ma addirittura scrisse una lettera al suo gregge invitandoli a cessare la loro separazione.

domenica 6 dicembre 2009

Vita del santo ieromartire Ilarion (Troitsky), arcivescovo di Verey (III)

Una volta un giovane ieromonaco venne portato dalle Solovki a Kazan. Era stato condannato a tre anni di esilio per aver tolto l’orarion ad un diacono renovazionista e avergli impedito di celebrare con lui. L’arcivescovo approvò l’azione dello ieromonaco e scherzò sui vari periodi di prigione dati all’una o all’altra persona, che nulla avevano a che fare con la serietà del loro “crimine”. «Perché il Signore è generoso e accoglie l’ultimo come il primo» disse con le parole dell’omelia pasquale di San Giovanni Crisostomo. «Egli concede il riposo a quello dell'undicesima ora, come a chi ha lavorato sin dalla prima. Dell'ultimo ha misericordia, e onora il primo. Dà all'uno e si mostra benevolo con l'altro. Accoglie le opere e gradisce la volontà. Onora l'azione e loda l'intenzione». Queste parole avrebbero potuto sembrare ironiche, ma impartirono un senso di pace e fecero sì che lo ieromonaco accettasse la prova come se venisse dalle mani di Dio.

Vladika Ilarion era grandemente rallegrato al pensiero che le Solovki fossero una scuola di virtù, generosità, mitezza, umiltà, temperanza, pazienza e amore per il lavoro. Una volta un gruppo di chierici venne derubato dopo l’arrivo e i padri erano molto tristi. Uno dei prigionieri disse loro per scherzo che questo era il modo per insegnar loro la generosità. Vladika era esultante per quell’osservazione.

Un esiliato perse i suoi stivali per due volte di fila e andava in giro per il campo con galosce strappate. L’arcivescovo Ilarion venne preso da sincera allegria guardandolo ed ecco come incoraggiava il buon umore negli altri prigionieri. Il suo amore per ogni persona, la sua attenzione per ciascuno e la sua socievolezza erano semplicemente sorprendenti. Era l’individuo più popolare del campo, fra tutti quelli della sua classe sociale. Vogliamo dire che non solo il generale, l’ufficiale, lo studente e il professore lo conoscevano e parlavano con lui (nonostante là vi fossero molti vescovi, anche più anziani e non meno colti di lui), ma anche la marmaglia, la società criminale di ladri e banditi lo conosceva come una persona buona e rispettata, che era impossibile non amare. Sia durante le pause di lavoro che nel tempo libero lo si poteva veder passeggiare a braccetto con uno o l’altro “esempio” di questa compagnia. Non si trattava solo di condiscendenza verso un “fratello più giovane” o un uomo caduto, no. Vladika parlava con ciascuno come ad un eguale, interessandosi, ad esempio, alla “professione” o all’attività prediletta di ognuno di loro. L’elemento criminale è molto orgoglioso e sensibilmente inorgoglito. Non potevano essere offesi impunemente. Tuttavia i modi di Vladika superavano ogni cosa; come un amico egli li nobilitava con la sua presenza e attenzione. Era di un eccezionale interesse osservarlo in quella compagnia e discutere a fondo con loro.

Egli era avvicinabile da chiunque: era esattamente come chiunque ed era facile stargli intorno, incontrarlo e parlargli. Il più ordinario, semplice ed apparentemente “non santo” era Vladika. Tuttavia, dietro questa ordinaria esteriorità di gioia ed apparente mondanità, si potevano gradualmente intravedere la purezza di un bambino, un’ampia esperienza spirituale, gentilezza e pietà, la sua dolce indifferenza verso i beni materiali, la sua fede vera, un’autentica pietà ed una nobile perfezione morale, per non menzionare la forza intellettuale combinata con forza e chiarezza di convinzioni. Quest’apparenza di un’ordinaria vita di peccatore, della follia per Cristo e di una maschera di mondanità nascondevano il suo sforzo interno alle persone e lo preservavano da ipocrisia e presunzione. Egli era nemico giurato dell’ipocrisia e di tutte le modalità di “pia apparenza” ed era assolutamente consapevole e diretto. Nella “squadra Troitsky” (come veniva chiamato il gruppo di lavoro dell’arcivescovo Ilarion) il clero alle Solovki riceveva una buona educazione. Ognuno comprendeva che non c’era vantaggio semplicemente nel considerarsi peccatore, portare avanti pie e lunghe conversazioni o mostrare quanto austeramente si vivesse. Era particolarmente inutile sopravvalutare se stessi più di quanto non fosse il caso. Vladika avrebbe chiesto ad ogni prete in arrivo i dettagli in merito alle motivazioni che avevano condotto al suo arresto. Un giorno, un certo abate venne portato alle Solovki. L’arcivescovo gli chiese: «Perché l’hanno arrestata?» «Oh, ho servito dei moleben a casa, dopo che avevano chiuso il monastero», rispose l’abate. «Beh, le persone si radunavano e ci furono pure alcune guarigioni…» «Ah, bene, anche guarigioni… quanti anni le hanno dato?» «Tre anni» «Bene», disse Vladika, «non è molto; per le guarigioni avrebbero potuto dargliene di più. Il governo sovietico ha fatto una svista…» Non è necessario notare che era del tutto immodesto parlare di guarigioni sopraggiunte per le proprie preghiere.