domenica 29 marzo 2009

Vita di San Nettario di Egina, metropolita di Pentapoli e operatore di miracoli (III)

Pentapoli

Quando ebbe vent’anni andò nell’isola di Chios ed entrò nel grande e rinomato monastero di Nea Moni; divenne monaco il 7 novembre 1875 e con la tonsura ricevette il nome di Lazzaro. Dopo due anni venne ordinato diacono dal metropolita Gregorio di Chios per le sue grandi virtù e la sua devozione e fu in quest’occasione che gli venne dato il nome di Nettario. Davvero questo fu un nome profetico, perché annuncio del nettare divino che il santo padre sarebbe diventato, attraverso i suoi sermoni e soprattutto attraverso la santità della sua vita, nei confronti del pio popolo cristiano. Fu così che il santo padre fu ordinato diacono e più tardi prete.

Più avanti Nettario lasciò Chios a causa delle difficoltà dei tempi e del governo musulmano a andò in Egitto. Qui venne eletto metropolita dell’antica diocesi di Pentapoli (in Cirenaica, l’odierna Libia) e davvero la lampada venne posta sul moggio e brillò per tutti in ogni dove. Tuttavia, a causa delle sue sante virtù, della sua vita immacolata, dei suoi santi sermoni e di tutte le altre cose che lo separavano dal resto del clero, sorse immediatamente un certo malvolere nei suoi confronti tra i suoi colleghi metropoliti, vescovi e membri delle gerarchie ecclesiastiche della sede di Alessandria. Essi non amavano Nettario perché era diverso da loro. Per questa ragione dissero al patriarca Sofronio cose diffamanti nei suoi confronti, in particolare che egli aveva messo gli occhi sul Trono patriarcale attraverso la sua «falsa devozione». Questo perché non volevano riconoscere la sua vera virtù, né il fatto che si trattasse di una persona spiritualmente più elevata e ritenevano che il suo comportamento fosse solo illusorio, per essere considerato santo dalla gente; in virtù di questa popolarità egli avrebbe detronizzato il Patriarca e tutti i Cristiani ortodossi d’Egitto sarebbero insorti per farlo Patriarca. E poiché davvero egli era molto popolare, il Patriarca Sofronio fu facilmente convinto di essere in pericolo. Poco sapevano del vero valore della persona, né comprendevano che egli non era ambizioso come loro per posizioni, gloria e potere.

In questo modo e per questi motivi sospesero il santo padre come Metropolita del trono di Pentapoli. Il Patriarca stesso, che era stato un grande “amico” del padre, scrisse l’ambigua lettera di sospensione, che più tardi divenne causa di così grande scandalo, dicendo che «per ragioni note al Patriarcato» egli veniva sospeso dalla Metropolia di Pentapoli, ma che gli veniva permesso di rimanere al Patriarcato e di mangiare alla tavola comune, in modo da avere vitto e alloggio. Anche se gli fosse stato chiesto di benedire un matrimonio o un battesimo avrebbe potuto farlo se il permesso gli fosse stato garantito dal vescovo diocesano o dal Patriarcato. In questo modo non venne ridotto allo stato laicale, né sospeso dalle funzioni ecclesiastiche, ma solo estraniato dal suo trono in modo da rimanere senza posizione.

Quando il santo apparve ad Atene con il foglio di sospensione, dopo che queste false voci già erano state fatte circolare, anche la gente innocente credette alle scandalose illazioni, perché videro scritto sul foglio «per ragioni note al Patriarcato», perciò doveva essere vero. In conseguenza sia lo Stato che le autorità ecclesiastiche gli rifiutarono una posizione nella Chiesa di Grecia e venne privato dei mezzi di sostentamento. Si trovò in uno stato straniero, straniero fra la sua stessa gente, senza cibo, alloggio e senza nemmeno il minimo mezzo di sussistenza. Ogni giorno andava all’ufficio del Ministero delle Religioni sperando che potessero fare qualcosa per lui, finché alla fine si stancarono e cominciarono a maltrattarlo e a mancargli di rispetto come Metropolita.


giovedì 12 marzo 2009

Vita di San Nettario di Egina, metropolita di Pentapoli e operatore di miracoli (II)

Viaggio verso la Terra Santa

Quando Anastasios era ancora giovane visitò i Luoghi Santi per venerarli. Durante un viaggio sopravvenne una grande tempesta e la nave rischiava di affondare; il capitano, non sapendo che altro fare, diede ordine che fossero preparate le scialuppe di salvataggio e «possa Dio aiutarci». Se qualcuno fosse stato in grado di salvarsi, meglio così, altrimenti la nave sarebbe affondata con tutti a bordo. Il piccolo Anastasios guardò il mare, sentì il capitano e i suoi ordini disperati e gli occhi gli si riempirono di lacrime, poiché si accorse che davvero non c’era via d’uscita. In quel momento tuttavia, quando anche l’ultima speranza di salvezza era perduta e tutti aspettavano l’ordine del comandante di abbandonare la nave, Anastasios gli si avvicinò e prendendo il timone pregò, esclamando verso il cielo: «Mio Dio non voglio morire, voglio predicare il Tuo nome. Perché permetti questo?» Ripeté queste parole diverse volte, poi lasciò andare il timone, estrasse la croce che portava, quella che gli aveva dato la nonna e che conteneva un pezzo della Croce Venerabile, la legò alla cintura, andò verso il lato della nave e la immerse nell’acqua, comandando al mare, come aveva fatto il Signore, con le parole: «Silenzio! Basta». Ripeté il gesto tre volte, quando, o la Tua volontà, Cristo Dio, dopo la terza esortazione ed immersione, il vento cessò e una gran calma seguì, nello stupore di tutti. Essi continuarono il viaggio con grande gioia, glorificando Dio, eccetto per il piccolo operatore di miracoli Anastasios, che era triste perché la Croce Venerabile, dono di sua nonna, era caduta in acqua. Quando attraccarono sentirono uno strano bussare dabbasso. Il capitano mandò dei marinai per capirne la causa, ma essi non trovarono nulla. Questi raggiunsero il ponte quando tutti stavano cominciando a sbarcare e fra essi il piccolo Anastasios. Mentre stavano scendendo, suoni come di bussare vennero ancora uditi dalla stiva e il capitano ordinò nuovamente di cercarne la causa, anche con una piccola barca per esaminare lo scafo. Mentre erano intenti a quest’operazione, un marinaio trovò la Croce Venerabile di Anastasios, nel punto da cui i suoni provenivano. Si può solo immaginare cosa accadde allora. Il marinaio riferì immediatamente il suo ritrovamento e il capitano cominciò a chiamare il piccolo, che era sceso e si trovava già ad una certa distanza. Gli gridò «Kephalas, Kephalas, torna indietro, vieni qui!», facendogli segno. Il piccolo Anastasios ritornò, ricevette il suo “tesoro” e da quel momento lo portò sempre con sé.

venerdì 6 marzo 2009

Vita di San Nettario di Egina, metropolita di Pentapoli e operatore di miracoli (I)

Costantinopoli

Anastasios Kephalas nacque nell’ottobre del 1846 in Selevria di Tracia. A causa della povertà dei suoi genitori, all’età di quattordici anni andò a Costantinopoli per cercare un lavoro e poterli sostenere finanziariamente; tuttavia non aveva il biglietto per la nave e così si avvicinò ad una di esse, che era pronta a partire, e chiese al capitano di prenderlo a bordo. Questi, però, vedendolo così giovane, gli disse per scherzo: «Fatti un giro, piccolo, e quando tornerai ti prenderò». Il ragazzo comprese quello che il capitano voleva dirgli in realtà e cominciò ad allontanarsi tristemente. Nel frattempo quegli azionò i motori per salpare, ma, sebbene funzionassero perfettamente, la nave non si muoveva; incrementò la potenza, ma invano. Senza sapere cosa fare, il capitano alzò gli occhi e incontrò lo sguardo del ragazzo che era tristemente in piedi sulla banchina. Era costretto contro la sua volontà e, cedendo, disse al ragazzo di salire. Anastasios saltò su e il capitano si assorse nel problema di come far muovere la nave, anche se non ne ebbe bisogno, perché questa partì immediatamente appena il “passeggero scelto” fu a bordo.

A Costantinopoli Anastasios trovò lavoro presso un commerciante in tabacco che non lo pagava come avrebbe dovuto, perciò andava in giro scalzo e con abiti stracciati; ma aveva moltissima fede in Dio e la preghiera era la sua unica consolazione. Quando vide che il suo datore di lavoro scriveva e riceveva molte lettere, Anastasios, con la sua mente da fanciullo e il suo cuore privo di malizia, volle scriverne una anche lui, perché aveva molte cose da dire. Ma a chi avrebbe potuto spedirla? Non aveva conoscenti e non poteva scriverla alla madre perché la posta non veniva portata al suo piccolo villaggio. E tuttavia sentiva il desiderio di scrivere: voleva lamentarsi del lavoro e della scarsa paga, voleva cibo e vestiti, ma non aveva soldi. Non aveva abbandonato la speranza in Dio e così pensò di scrivere una lettera al Cristo e di comunicargli le sue necessità. Prese la penna e scrisse: «Mio piccolo Cristo, non ho un grembiule, né scarpe. Mandamele! Sai quanto ti amo. Anastasios». Chiuse la lettera con speranza e scrisse sulla busta: «Al Signore Gesù Cristo nei cieli». Sulla strada per imbucare la lettera incontrò il proprietario di un negozio che era dall’altra parte della strada rispetto al suo luogo di lavoro. Quest’uomo lo conosceva bene e sapendo dell’innocenza e della diligenza del ragazzo, aveva cominciato a sentire una grande compassione per lui. Era anch’egli di strada per l’ufficio postale e disse: «Anastasios, dove vai?». Anastasios mormorò qualcosa tenendo la lettera in mano. «Dalla a me, così la spedisco e tu non devi farti tutta la strada». Intimorito e senza pensarci su Anastasios gliela diede. Il commerciante la prese e la mise con quelle che doveva spedire, dando ad Anastasios dei colpetti sul capo e dicendogli di tornare indietro, che lui avrebbe avuto cura della lettera.

Anastasios tornò allegramente al lavoro e il commerciante continuò per la sua strada, pieno di gioia per quel ragazzo buono ed eccezionale. Tuttavia la curiosità lo sopraffece quando giunse alla posta e lesse l’indirizzo della lettera, a tal punto che la aprì e ne lesse il contenuto. Fu così travolto dalle emozioni che prese dei soldi, li mise in una busta e li spedì anonimamente al ragazzo. Anastasios fu pieno di gioia nel riceverli e rese grazie a Dio.

Alcuni giorni dopo il suo datore di lavoro lo vide vestito meglio del solito e pensò che doveva averlo derubato. Stava per picchiarlo e licenziarlo. Ma Anastasios gridò: «Non ho mai rubato nulla nella mia vita, ti prego, non picchiarmi! Me li ha mandati il mio piccolo Cristo». Il commerciante di fronte sentì l’alterco, accorse, prese da parte il datore di lavoro e gli spiegò la storia.