Il 3 gennaio 1950 la badessa Makaria (+ 23 aprile 1999) gironzolava fra le rovine del monastero recentemente ricostituito sul monte Amomos, pensando ai martiri le cui ossa erano state sparpagliate su quel suolo e il cui sangue aveva irrigato l’albero dell’Ortodossia. Comprese che si trattava di un luogo sacro e pregò che Dio le permettesse di vedere uno dei Padri che lì avevano vissuto. Dopo qualche tempo, le sembrò di avvertire una voce interiore che le diceva di scavare in un certo posto. Ella indicò il luogo ad un operaio che aveva assunto per fare riparazioni al monastero vecchio. L’uomo non voleva scavare lì, ma in qualche altro punto. Poiché insisteva, madre Makaria lo lasciò fare, ma pregò che non fosse in grado di scavare e così quegli trovò della roccia. Sebbene avesse cercato di ripetere l’operazione in tre o quattro posti diversi, ottenne sempre lo stesso risultato. Alla fine fu d’accordo a scavare dove aveva indicato la badessa. Si trattava delle rovine di una vecchia cella: egli la ripulì dalle macerie e prese a lavorare in modo rabbioso. Madre Makaria gli disse di rallentare, perché non voleva che venisse danneggiato il corpo che vi si trovava. Quegli la prese in giro perché si aspettava di trovare le reliquie di un santo. Quando giunse ad una profondità di quasi due metri, tuttavia, egli dissotterrò la testa dell’uomo di Dio. In quel momento un profumo ineffabile riempì l’aria. L’operaio impallidì e non era in grado di parlare. Madre Makaria gli disse di andare e di lasciarla sola. Ella si inginocchiò e baciò il corpo con reverenza. Quando ebbe tolto un altro po’ di terra vide le maniche del rason del santo: il tessuto era spesso e sembrava essere stato lavorato con un antico telaio. Una volta liberato i resto del corpo cominciò a rimuovere le ossa, che apparivano essere quelle di un martire.
Madre Makaria era ancora in quel santo luogo quando cadde la notte, così ella lesse il vespro. Improvvisamente sentì dei passi che provenivano dalla tomba, che si muovevano nel cortile verso la porta della chiesa. Erano forti e regolari, come quelli di un uomo di forte carattere. La monaca aveva paura di girarsi e guardare, ma proprio allora udì una voce che diceva: «Per quanto tempo mi lascerai qui?» Vide un monaco alto, con piccoli occhi tondi e la barba che gli cresceva sul petto. Nella mano sinistra c’era una luce brillante e benediceva con la destra. Madre Makaria fu piena di gioia e la sua paura scomparve. «Perdonami», rispose, «mi prenderò cura di te domani, appena Dio provvederà al sorgere del sole». Il santo scomparve e la badessa continuò nella lettura del vespro.
Il mattino, dopo il mattutino, ella pulì le ossa e le pose in una nicchia intorno all’altare della chiesa; poi accese una candela davanti a loro. Quella notte sant’Efrem le apparve in sogno, la ringraziò per essersi curata delle sue reliquie e poi le disse: «Il mio nome è sant’Efrem». Dalle sue stesse labbra ella apprese la storia della sua vita e del suo martirio.
Era nato in Grecia il 14 settembre 1384. Suo padre era morto quand’egli era piccolo e la pia madre dovette occuparsi da sola dei sette figli. Quando Efrem ebbe raggiunto l’età di quattordici anni il Dio di bontà guidò i suoi passi verso il monastero sul monte Amomon, vicino a Nea Makri, in Attica, dedicato all’Annunciazione e a Santa Parasceva. Qui prese sulle sue spalle la croce di Cristo, che devono portare tutti i suoi discepoli (Mt. 16, 24). Infiammato dall’amore di Dio, sant’Efrem si immerse con premura nella disciplina monastica. Per quasi ventisette anni egli imitò la vita dei grandi Padri asceti del deserto. Seguì Cristo con divino zelo, allontanandosi dalle attrazioni di questo mondo. Per la grazia di Dio si purificò dalle passioni che distruggono l’anima e divenne dimora del Santissimo Spirito. Venne anche riconosciuto degno di ricevere la grazia del presbiterato e servì all’altare con grande riverenza e compunzione. Il 14 settembre 1425 i barbari turchi incominciarono un’invasione via mare, saccheggiando i dintorni. Sant’Efrem fu una delle vittime del loro odio frenetico. Molti monaci erano stati torturati e decapitati, ma egli era rimasto calmo; questo fece infuriare i Turchi, che lo imprigionarono per torturarlo e costringerlo a rinnegare Cristo. Lo chiusero in una piccola cella senza cibo e acqua e ogni giorno lo picchiavano, sperando di convincerlo a diventare mussulmano. Per vari mesi sopportò terribili tormenti. Quando i Turchi compresero che il santo rimaneva fedele a Cristo, decisero di metterlo a morte. Martedì 5 maggio 1426 lo trassero dalla cella e lo appesero a testa in giù ad un gelso, poi lo picchiarono e lo presero in giro: «Dov’è il tuo Dio», chiesero, «e perché non ti aiuta?». Il santo non si perse d’animo, ma pregava: «O Dio, non ascoltare le parole di questi uomini, ma sia fatta la Tua volontà, secondo ciò che hai deciso». I barbari tirarono la barba del santo e lo torturarono, finché perse le forze. Il suo sangue scorreva e le vesti erano a brandelli. Il suo corpo era quasi nudo e coperto da molte ferite. Tuttavia i Turchi non erano soddisfatti, ma desideravano torturarlo ancora di più. Uno di essi prese un bastone infuocato e lo conficcò violentemente nell’ombelico del santo. Le sue grida erano strazianti, tanto grande era il dolore. Sangue uscì dallo stomaco, ma i Turchi non si fermarono, ripetendo gli stessi dolorosissimi tormenti molte volte. Il suo corpo si contorceva e tutti i suoi arti avevano convulsioni. Ben presto il santo divenne troppo debole per parlare, perciò pregava in silenzio chiedendo a Dio di perdonare i suoi peccati. Dalla sua bocca colavano sangue e saliva e il terreno era intriso del suo sangue. Allora perse conoscenza. Pensando che fosse morto, i Turchi tagliarono le corde che lo legavano all’albero, cosicché egli cadde sul terreno sottostante. La loro rabbia non era però diminuita, cosicché continuarono a prenderlo a calci e a picchiarlo. Dopo un poco il santo aprì gli occhi e pregò: «Signore, a Te rendo il mio spirito». Verso le nove del mattino la sua anima si separò dal corpo. Queste cose rimasero dimenticate per circa cinquecento anni, nascoste in un profondo silenzio d’oblio fino al quel 3 gennaio 1950.
Sant’Efrem compie molti miracoli nel mondo intero. Sembra sia particolarmente d’aiuto ai giovani e a coloro che assumono droga o altre sostanze. Uno di essi accadde ad un giovane americano del Midwest, che lottava con la propria vita. Faceva pesantemente uso di droghe (cocaina ed eroina) e stava rapidamente scivolando verso la distruzione. Non aveva né una famiglia stabile, né un’educazione religiosa, perciò si trovava in serio pericolo.
Una notte gli apparve un brutto vecchio, che gli disse: «Sono tuo amico, voglio che tu prenda un appuntamento per incontrarmi». Lo spinse ad entrare in macchina e a guidare il più velocemente possibile su una certa strada che alla fine aveva un tornante con un burrone a picco proprio sulla curva. Il giovane fece come gli veniva detto, andò alla macchina, guidò il più velocemente possibile sulla strada. All’ultimo momento, facendosi prendere dalla paura, riuscì a pigiare sui freni e per poco riuscì a fare la curva. Arrivò a casa scosso. Due notti dopo il vecchio riapparve e disse, con rabbia ed indignazione: «Sono molto dispiaciuto che tu non mi abbia incontrato. Rimettiti in macchina e guida più veloce che puoi, e questa volta non schiacciare i freni». Il giovane si sentì stranamente spinto ad obbedire. Di nuovo entrò in macchina, guidò più forte che potesse e questa volta non si fermò, ma piombò ad alta velocità giù dal burrone. La macchina venne demolita, ma, sorprendentemente, egli ne uscì solo con tagli ed escoriazioni e con una commozione cerebrale. Poche settimane più tardi, appena fu uscito dall’ospedale, il brutto uomo riapparve un’altra volta e disse: «Sono furioso che tu non sia venuto al nostro appuntamento. Questa volta, senza errori, mi incontrerai. Metti nella tua siringa una doppia dose di droga». Di nuovo il giovane si sentì obbligato a farlo e dopo essersi iniettato il liquido cadde in come per overdose. Venne portato all’ospedale, dove i dottori dissero alla famiglia che probabilmente non sarebbe sopravvissuto. E se per caso lo fosse stato, sarebbe rimasto in condizione vegetativa, di semi-coscienza. Non c’era alcuna speranza di ripresa. In due settimane, invece, il giovane si risvegliò, pienamente cosciente. Disse a quelli intorno a lui di aver visto un uomo che sembrava una sorta di monaco luminoso. Venne da lui e disse: «Ho pregato per te… Dio ti ha dato un’altra possibilità. Vivrai, ma dovrai correggere la tua vita. Inoltre andrai in Grecia per visitare il luogo dove riposano le mie ossa, rendendo grazie a Dio per la tua salvezza. Il mio nome è Efrem».
Tradotto da http://full-of-grace-and-truth.blogspot.com/2009/01/uncovering-of-holy-relics-of-st-ephraim.html
Il nostro padre fra i santi Efrem, il grande martire, è celebrato il 5 maggio (18 del calendario civile).