Anno 396. Lettera LXIII di Sant'Ambrogio di Milano alla chiesa di Vercelli che, dopo la morte del vescovo Limenio, successore di Eusebio, non riusciva ad accordarsi sull'elezione di un successore.
[...] 2. E' questa la formazione di un confessore, è questa la progenie di quei padri giusti che, non appena lo videro, elessero il santo Eusebio (come vescovo di Vercelli), che non avevano mai conosciuto prima, preferendolo ai loro concittadini (egli non era arrivato presso di loro tanto prima rispetto a quando fu eletto) ed ancora di più quando essi l'ebbero osservato. Giustamente egli, eletto dalla chiesa intera, si rivelò un uomo così grande, giustamente si credette che colui che tutti richiedevano, fosse stato eletto per giudizio di Dio. E' necessario dunque che seguiate l'esempio dei vostri genitori, soprattutto perché voi che siete stati istruiti da un santo confessore dovete essere migliori dei vostri padri, poiché un miglior maestro vi ha istruito ed ha insegnato a voi e dovete manifestare un segno della vostra moderazione e concordia, mettendovi d'accordo nella vostra ricerca di un vescovo.
[...] 66. Ma se una così grande riflessione si richiede nelle altre chiese per l'ordinazione di un vescovo, quanta cura sarà richiesta nella Chiesa di Vercelli, dove due cose sembrano essere richieste in egual misura per un vescovo, la regola monastica e la disciplina ecclesiastica? Perché Eusebio di santa memoria fu il primo in Occidente ad unire queste differenti materie, vivendo in città secondo le regole dei monaci e governando la chiesa con digiuno e temperanza. Perché la grazia del presbiterato è assai aumentata se il vescovo costringe i giovani alla pratica dell'astinenza ed alla regola della purezza; e proibisce loro, sebbene vivano in città, le maniere ed il modo di vita della città.
[...] 67. Seguendo queste strade, Eusebio andò via dalla sua terra e dai suoi stessi parenti e preferì il vagare in terre straniere alla comodità di casa propria. Per la fede egli preferì e scelse anche le asperità dell'esilio, insieme a Dionigi (vescovo di Milano) di santa memoria, che stimava un esilio volontario più che l'amicizia dell'Imperatore. E così questi uomini illustri, circondati da armi, guardati dai soldati, quando vennero strappati dalla più vasta Chiesa, trionfarono sul potere imperiale, perché attraverso la vergogna terrena essi raggiunsero la fortezza dell'anima ed il potere regale; essi, dai quali le bande di soldati ed il chiasso delle armi non poterono strappar via la fede, sottomisero la rabbia di una mente brutale, che fu incapace di danneggiare i santi. Perché, come leggete nei Proverbi, "l'ira del re è come l'ira di un leone".
68. Egli confessò di essere stato sconfitto quando chiese loro di cambiare la loro decisione, ma essi ritennero la loro penna più dura di una spada di ferro. Allora fu l'incredulità ad essere ferita in modo da cadere, non la fede dei santi; essi non desideravano una tomba nella propria terra, poiché era stata loro riservata una casa nei cieli. Vagarono per tutta la terra, "non avendo nulla, e tuttavia possedendo tutto". Ovunque furono mandati ritennero quel posto pieno di delizie, perché non desideravano nulla, in loro ove abbondava la ricchezza della fede. Infine arricchirono altri, essendo essi stessi poveri di mezzi terreni, ma ricchi di grazia. Furono provati, ma non uccisi, nel digiuno, nelle difficoltà, nell'attenzione, nelle veglie. Nella debolezza divennero più forti. Non attesero alle lusinghe del piacere, poiché erano saziati dal digiuno; l'estate bruciante non inaridiva coloro che erano rinfrescati dalla speranza della grazia eterna, né il freddo delle regioni gelide li piegava, poiché la loro devozione germogliava nuovamente in una devozione ardente; non temevano le catene di uomini che Gesù aveva liberato; non aspettavano di essere salvati dalla morte, poiché si attendevano di essere resuscitati in Cristo.
70. Ed infine il santo Dionigi chiese nelle sue preghiere di poter concludere la sua vita in esilio, per paura che, tornando a casa, potesse trovare gli animi del popolo o del clero disturbati dall'insegnamento o dalla pratica dei non credenti, ed ottenne questo favore, in modo da portare con sé la pace del Signore con animo sereno. Così, come il santo Eusebio per primo raggiunse il livello della confessione, così il beato Dionigi perse la vita in esilio con onore maggiore anche di quello dei martiri.
71. Adesso questa pazienza crebbe forte nel santo Eusebio grazie alla disciplina del monastero e, dalla consuetudine della dura sopportazione, egli trasse il potere di sopportare le difficoltà. Perché chi dubita che nella più stretta devozione cristiana queste due cose siano le più eccellenti, gli offici del clero e la regola dei monaci? La prima è una disciplina che abitua alla cortesia ed alla buona moralità, la seconda all'astinenza ed alla pazienza; la prima, come se fosse su un palco aperto, la seconda nella segretezza; l'una è visibile, l'altra nascosta. E così, colui che fu un buon atleta disse: "Siamo resi uno spettacolo per questo mondo e per gli Angeli". Davvero degno era di fissare con lo sguardo gli Angeli, quando era proteso a raggiungere il premio di Cristo, quando era proteso a vivere sulla terra la vita degli Angeli e a superare l'iniquità degli spiriti in cielo, poiché egli combatté con l'iniquità spirituale. Giustamente il mondo fissa lo sguardo su di lui, per poterlo imitare.