Il 24 novembre 1920 l’archimandrita Ilarion venne eletto vescovo di Verey, un vicariato della diocesi di Mosca, e consacrato il giorno successivo. I suoi contemporanei dipinsero di lui un quadro ricco di colori: giovane, pieno di allegria, ben educato, eccellente predicatore, oratore, cantante e brillante polemista, sempre naturale, sincero ed aperto. Fisicamente era molto forte, alto, largo di spalle, con folti capelli rossicci ed un viso chiaro e luminoso. Era il preferito dalla gente… Guadagnò grande autorità fra il clero ed i suoi colleghi vescovi, che lo chiamarono “Ilarion il Grande” per la sua intelligenza e la sua risolutezza nella Fede.
Il servizio episcopale fu un sentiero verso la croce. Non erano passati due anni dalla consacrazione che si trovava nuovamente in esilio ad Archangelsk; rimase al di fuori della vita della Chiesa per un intero anno, poi riprese la sua attività. Sua Santità il Patriarca Tikhon si interessò da vicino della sua persona e ne fece, insieme con l’arcivescovo Serafino (Alexandrov), uno dei suoi più intimi consiglieri. Il Patriarca lo innalzò al rango di arcivescovo immediatamente dopo il ritorno dall’esilio e le sue attività ecclesiastiche cominciarono ad ampliarsi: portò avanti un serio dialogo con Tuchkov (plenipotenziario per gli affari ecclesiastici dell’antenato del KGB, il GPU), in merito alla necessità, nelle condizioni presenti sotto il governo sovietico, di ordinare la vita della Chiesa ortodossa russa sulla base del diritto canonico. Inoltre si impegnò per ripristinare l’organizzazione ecclesiastica, componendo un certo numero di lettere patriarcali.
Divenne una minaccia per i Renovazionisti (organizzazione ecclesiastica che intendeva riformare gli insegnamenti e le pratiche della chiesa ortodossa per adattarli al moderno pensiero liberale) ed ai loro occhi divenne inseparabile dal patriarca Tikhon. La sera del 22 giugno/5 giugno 1923 vladyka Ilarion servì la Veglia di tutta la notte per la festa dell’Icona della Madre di Dio di Vladimir al monastero Sretensky, che era stato occupato dai Renovazionisti. Li cacciò fuori e riconsacrò la cattedrale con il rito completo e in questo modo restituì il monastero alla Chiesa. Il giorno successivo il patriarca Tikhon servì al monastero e la liturgia durò tutto il giorno, non terminando che alle 18; in seguito il Patriarca nominò l’arcivescovo Ilarion superiore del monastero Sretensky.
La guida dei Renovazionisti, il metropolita Antonino (Granovsky) scrisse contro il Patriarca e l’arcivescovo con odio inesprimibile, accusandoli senza cerimonie di essere dei contro-rivoluzionari. «Tikhon e Ilarion», scrisse, «hanno prodotto dei gas soffocanti “pieni di grazia” contro la Rivoluzione e la Rivoluzione si è armata non solo contro i Tikhoniti, ma contro l’intera Chiesa come fosse una banda di cospiratori. Ilarion va in giro a “spruzzare” chiese contro i Renovazionisti e cammina sfrontatamente in esse… Tikhon e Ilarion sono colpevoli di fronte alla Rivoluzione, vessatori della Chiesa di Dio e non possono accampare alcuna buona azione a propria discolpa».
L’arcivescovo Ilarion comprese chiaramente l’illegalità dei Renovazionisti e condusse animati dibattiti a Mosca con Alessandro Vvedensky (prete liberale, uno dei capi del Renovazionismo e della “Chiesa vivente”); come disse lo stesso arcivescovo Ilarion, in questi dibattiti “intrappolò al muro” Vvedensky ed espose tutte le sue bugie e le sue astuzie.
I capi dei Renovazionisti compresero che l’arcivescovo Ilarion interferiva con i loro affari e per questo fecero ogni sforzo possibile per privarlo della libertà. In questo modo nel dicembre 1923 ottennero che venisse condannato a tre anni di prigione, prima nel campo di prigionia di Kem e poi alle Solovki.
Quando ebbe modo di vedere l’orribile condizione delle baracche e del cibo del campo disse: «Non ne usciremo vivi»: si stava avviando sul sentiero della croce che l’avrebbe portato al suo benedetto riposo. Tuttavia questo sentiero è di grande interesse per noi, perché in esso si rivelò in pieno la magnificenza di spirito di questo martire per Cristo; quindi esamineremo più nel dettaglio questo periodo della sua vita.
Vivendo alle Solovki l’arcivescovo Ilarion conservò tutte le buone qualità dell’anima che aveva acquisito attraverso le sue fatiche ascetiche, sia prima che durante la vita monastica, come prete e gerarca. Quelli che vissero con lui durante questi anni furono testimoni della sua totale mancanza di avidità, profonda semplicità , vera umiltà e di una mitezza quasi infantile; semplicemente dava via qualunque cosa, se richiesto. Non aveva interesse per le proprie cose; per questo motivo aveva bisogno di qualcuno che, senza alcuna pietà nei suoi riguardi, si occupasse del suo bagaglio, come successe alle Solovki.
L’arcivescovo Ilarion poteva essere insultato, ma non avrebbe mai risposto; probabilmente non avrebbe nemmeno notato il tentativo d’insultarlo. Era sempre allegro, e anche quand’era preoccupato o angosciato tentava di nasconderlo rapidamente con la sua allegria. Guardava ogni cosa con occhi spirituali ed ogni cosa serviva al suo profitto spirituale.
«All’allevamento di pesce Philemonov», raccontò un testimone oculare, «distante sette o otto chilometri dalla fortezza delle Solovki e dal centro del campo, sulle rive della piccola baia del Mar Bianco, io e l’arcivescovo Ilarion, insieme con due altri vescovi e pochi preti (tutti prigionieri) avevamo il compito di fare le reti e di pescare. L’arcivescovo Ilarion amava parlare di questo nostro lavoro modificando le parole della stichira di Pentecoste: “Tutte le cose sono concesse dal Santo Spirito: prima i pescatori divennero teologi e adesso accade l’opposto, i teologi diventano pescatori”». Così umiliava se stesso di fronte alla sua nuova sorte.